Giustino Fortunato

Fortunato nasce a Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, il 4 settembre 1848. La famiglia appartiene alla borghesia terriera lucana filoborbonica, «di quella borghesia che il nuovo secolo aveva sospinta al governo dello Stato» (G. Fortunato, Pagine e ricordi parlamentari, 2° vol., 1947, p. 177). La sua formazione si svolge a Napoli presso i gesuiti e gli scolopi. Nel 1865 si iscrive, assieme al fratello Ernesto, alla facoltà di Giurisprudenza. Nel 1873 vince un concorso da funzionario prefettizio ma, date anche le resistenze della famiglia, decide di continuare gli studi e segue le lezioni di letteratura e storia di Luigi Settembrini e di Francesco De Sanctis. Soprattutto quest’ultimo costituisce per Fortunato un punto di riferimento intellettuale e morale imprescindibile (G. Fortunato, Commemorazione di Francesco De Sanctis, 1884, in Id., Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, 1° vol., 19262, pp. 197-203). In questi anni inizia a collaborare con le riviste moderate «La Patria» e l’«Unità Nazionale» e, a partire dal 1872, si iscrive alla sezione di Napoli del Club Alpino per il cui «Bollettino» scrive delle relazioni di viaggio sugli Appennini del Mezzogiorno (Griffo 1997). In questo periodo gli si manifesta, come una rivelazione, «la scoperta» delle cause di arretratezza non solo economica ma anche nell’assetto del territorio del Mezzogiorno.

Grazie all’attività giornalistica, Fortunato inizia a occuparsi di temi che lo portano progressivamente a indagare le condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno. Dal 1878 al 1880, sollecitato da Pasquale Villari, diviene corrispondente della «Rassegna settimanale» di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino. Alcuni articoli per la rivista, e altri scritti, verranno poi pubblicati nelle due edizioni degli Scritti vari del 1900 e del 1928. In queste pagine prende corpo il programma scientifico di Villari. L’indagine sul campo è il primo passo di una politica di intervento. Solo la comprensione della realtà economica e sociale può orientare la politica, combatterne gli errori e sconfiggere le ideologie estremiste.

Nel 1880 Fortunato viene eletto deputato del collegio di Melfi. Ricoprirà questa carica fino al 1909, anno in cui è nominato senatore. In Parlamento non si riconosce appieno in uno schieramento politico. Appoggia il governo Depretis e, dopo la sua caduta, non sostiene il programma e la politica di Francesco Crispi. Allo stesso modo è contrario alla svolta protezionista del 1877. Nel lungo periodo in carica da parlamentare, Fortunato non ricopre incarichi di governo. Questo gli permette di avere un atteggiamento e un giudizio indipendenti nei confronti delle vicende politiche italiane. Il suo programma politico, nonostante fosse costantemente rivolto alle esigenze di modernizzazione del giovane Stato italiano (Galasso, in Giustino Fortunato, 1984, pp. 35-36), era profondamente informato della visione sulle politiche necessarie per risollevare il Mezzogiorno e per far uscire dalla miseria la maggioranza della popolazione meridionale. La questione meridionale è la questione nazionale per eccellenza: «la redenzione delle plebi dalla supina ignoranza e dalla estrema miseria, più che un bisogno, è una imprescindibile necessità nostra» e più avanti «il paese non è solido finché le classi inferiori sono prive d’ogni tutela, d’ogni patrocinio, d’ogni bene della civiltà» (G. Fortunato, I partiti storici e la XIV legislatura, 1892, in Id., Il Mezzogiorno, cit., 1° vol., pp. 177-78).

Con l’avvento del fascismo Fortunato, già provato da problemi di salute e dalla perdita del fratello Ernesto, non nasconde un sempre più cupo pessimismo sulle sorti dell’Italia e del Mezzogiorno. Nel 1926 scrive una lunga prefazione alla seconda edizione delle Pagine e ricordi parlamentari, in cui analizza criticamente l’ascesa del fascismo e la crisi dello Stato liberale. Il testo viene censurato e sarà pubblicato solo nel 1947.

Muore a Napoli il 23 luglio 1932.